IKIGAI IN AZIENDA

 

E’ a dir poco difficile definire cosa sia davvero la “felicità”; l’assaporiamo nei momenti che arriva ma poi forse non siamo in grado di trovare una risposta al “come essere felici” proprio perchè il concetto ci sfugge di mano.

Se poi vogliamo delimitare l’idea di felicità al contesto professionale diventa ancora più complesso e presuppone d’indagare in ambito psicologico quali siano le definizioni date al termine” felicità”.

Il significato di felicità inoltre può mutare da persona a persona. Anche la scienza non ha trovato una definizione univoca al concetto di felicità.

Lo psicologo e ricercatore Daniel Gilbert, autore del libro “Stumbling on happiness”, che ha investito la sua carriera nello studio del cosa sia appunto la “felicità” , spiazzò tutti durante un suo discorso “The surprinsing scienze of hapiness” chiedendo alla platea se fosse meglio vincere alla lotteria o diventare paraplegico.

Emergeva che trascorso un anno dalla vittoria o dall’incidente che aveva provocato la paraplegia le persone percepivano lo stesso livello di felicità!

Questo è spiegabile perchè eventi che riteniamo possano appagarci completamente, in realtà nel tempo potrebbero rivelarsi non avere un impatto così determinante sulla nostra felicità e allo stesso modo eventi ritenuti tragici, potrebbero rivelarsi nel tempo non solo fonte d’infelicità.

Gilbert spiega che il nostro cervello è capace di sintetizzare la felicità. Attraverso meccanismi inconsci, siamo in grado di modificare le percezioni e le visioni che abbiamo della realtà che ci circonda cambiando quindi allo stesso modo le percezioni di benessere o malessere.

E’ stupefacente quindi comprendere che abbiamo sempre pensato che la nostra felicità dipenda sempre strettamente ad eventi esterni, quando invece la felicità la possiamo stimolare e attivare noi stessi.

Quando non possiamo scegliere e ci troviamo travolti da eventi “negativi” il poter avere come risorsa la “felicità sintetica” ci permettere di affrontare la difficile situazione con un approccio che ci aiuta a ridimensionare e valutare il tutto da una prospettiva diversa.

Ma il focus del mio ragionamento oggi voleva vertere sulla possibilità di essere appagati e felici lavorando. E’ possibile? E’ una condizione realizzabile?

Ho citato il ricercatore Gilbert perchè quella felicità sintetica a cui si riferisce la vedo come una risorsa dalla quale ciascuno di noi può attingere nell’approcciare agli eventi e alla vita tutta.

Molto spesso un atteggiamento positivo aiuta a vivere momenti belli ma soprattutto momenti avversi con un serenità interiore che permette di superare quell’episodio.

Ma se la “felicità sintetica” può essere quindi un approccio vorrei addentrarmi ora nell’ approfondire un metodo che a me sta molto a cuore e che insegna ad essere felici: l’ Ikigai di cui mi sono già trovata a parlare.

Il termine Ikigai può essere banalmente tradotto come scopo della propria vita o gioia di vivere.

Nel mondo Occidentale spesso percepiamo il lavoro come un obbligo e lo viviamo come tale. Ciascuno di noi invece ha dei talenti e saperli riconoscere e valorizzare permetterebbe di trovare la strada giusta per trovare la propria realizzazione.

Il filosofo Confucio diceva: “Scegli un lavoro che ami e non dovrai lavorare un giorno della tua vita”.

Forse il lavoro ideale non esiste, ma provare ad ascoltarsi davvero e analizzare il proprio sentire e le proprie inclinazioni, lasciando lontani condizionamenti e preconcetti, è indubbiamente un inizio per cercare un lavoro affine alla propria personalità e di conseguenza per intraprendere un cammino che ci riserverà soddisfazioni e felicità.

Grazie al metodo Ikigai, è possibile portare alla luce le proprie passioni e bilanciarle con i quattro assunti del metodo:

  • passione, ossia cosa amiamo fare
  • missione, ossia ciò di cui ha bisogno il mondo
  • vocazione, ossia quello che ci riesce meglio
  • professione, ossia ciò che facciamo a fronte di un riconoscimento economico

Quando manca l’equilibrio tra questi assunti o manca addirittura uno di questi quattro elementi, si corre il rischio di sentirsi inadeguati, frustrati e demotivati nelle attività che svolgiamo quotidianamente.

Il metodo Ikigai è molto efficace anche se richiede tempo e una profonda riflessione.

Orientarsi professionalmente necessita pazienza.

Potremmo scoprire desideri e passioni, zittite nel tempo, che ci stupirebbero.

Mettersi alla ricerca del proprio Ikigai richiede un sapersi mettere in discussione e anche sapersi rimettere in gioco, richiede di essere pronti anche all’eventualità di cambiare direzione completamente.

Spaventa? C’è da dire che la posta in gioco è la vostra “felicità”!

Forse ne vale la pena.

In questi ultimi due anni molte certezze sono state demolite e tra queste anche la certezza lavorativa. L’ Ikigai potrebbe venirci in soccorso stimolandoci a reagire, a non lasciare che sia l’ansia a prendere il sopravvento.

Applicando il metodo potremmo scoprire molto di noi stessi, potremo conoscerci in un modo nuovo.

Prendere consapevolezza delle proprie abilità, rivivere attraverso il ricordo le esperienze professionali passate e rievocare quelle che ci facevano stare bene, interrogare amici e persone care per capire gli altri quali talenti vedono in noi è un esercizio di “conoscenza” continuo e mutevole.

L’ikigai fatto oggi potrebbe essere assai diverso da quello fatto un anno fa, perchè magari nel corso di questo periodo siamo cambiati, abbiamo maturato nuove passioni, nuovi scopi, nuove priorità che prima nemmeno pensavamo di avere.

Se imparassimo ad adottare il metodo Ikigai come esercizio quotidiano, come la nostra filosofia di vita, le nostre scelte e le nostre azioni procederebbero in armonia e in equilibrio con i nostri desideri garantendoci serenità e appagamento.

Una volta trovato il proprio Ikigai, inevitabilmente ci libereremo di convenzioni soffocanti, di modi di pensare vincolanti e di paure per lasciare spazio alle cose giuste “ per noi”.

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